lunedì 27 dicembre 2010

Taxonomy FAIL


Una divertente frivoleria (ma sarà poi tanto frivola?) come regalo di Natale: il "Taxonomy Fail Index" proposto a settembre dal buon Alex Wild sul suo blog MYRMECOS. Egli suggerisce di misurare la gravità di un errore di identificazione fra una specie A e una specie B in questo modo: dividere il numero di milioni di anni passati da quando A e B si sono separati dal loro ultimo progenitore comune per il numero di milioni di anni passati da quando scimpanzè e uomo si sono separati dal loro ultimo progenitore comune. Confondere un uomo per uno scimpanzè equivale a un errore di 1 sul TFI. Scambiare, come nella foto, un opossum con un gatto è 24.6 volte più grave. Scambiare un ape con una vespa totalizza un 25.2, e in culo a tutti quelli che non sono in grado di farlo.

Buone feste!

martedì 21 dicembre 2010

Spotlight Zoologia: Tardigrada


Come ho avuto occasione di accennare, la tassonomia moderna diventa sempre più complessa, il che non fa che rendere sempre più remote le possibilità che i villici (tutti voi) prima o poi acquistino una seppur minima base di questa scienza, almeno tanto da poter dire la differenza fra un bruco e un'anaconda. Anche quei pochi che hanno, per cultura generale, un minimo d'infarinatura, si fermano a divisioni grossolane tipo "vertebrati vs invertebrati" senza immaginare che in realtà i vertebrati sono solo la piccola parte di un piccolo phylum che svanisce in un mare di altri, più grossi e numerosi, da quelli familiari come gli Artropodi e i Molluschi a quelli pressocchè sconosciuti al grande pubblico, come i Tardigradi. Ma cosa sono, poi, i tardigradi? Piccoli esseri tozzi con otto corte zampette unghiate, e un corpo vagamente segmentato (sono un sister group degli Artropodi, infatti), che vivono un pò ovunque nel mondo, ma sono talmente piccoli da essere invisibili a occhio nudo e da poter "nuotare" in quel pò di umidità raccolta in muschi e licheni. Cos'hanno di così particolare? Sono poliestremofili: un estremofilo è un organismo che può sopravvivere a un certo tipo di condizioni estreme, quindi un poliestremofilo sarà un organismo in grado di resistere a MOLTI tipi di condizioni estreme. E in effetti i nostri tardigradi (per qualche oscuro motivo chiamati in inglese "water bears" anche se più che a un orso assomigliano a Jabba the Hutt) sono notevolmente cazzuti: possono sopravvivere a temperature elevatissime (151 gradi) o quasi nulle (-272), possono resistere per dieci anni in stato disidratato, possono sopportare una pressione di 1200 atmosfere e possono sopravvivere a una quantità di radiazioni più di 1000 volte superiore a quella che ucciderebbe un uomo. Lo stato di bassissimo metabolismo a cui devono i loro straordinari superpoteri si chiama criptobiosi, e ha permesso ad alcuni tardigradi di sopravvivere per ben dieci giorni nello spazio, dove con "nello spazio" non si intende dentro un'astronave, ma nello spazio aperto, senz'aria, cibo o acqua, con temperature gelide e piogge di radiazioni. In effetti ce n'è abbastanza per sospettare che ogni tardigrade sia in realtà un minuscolo frammento di Chuck Norris, se non fosse che Chuck Norris non si può spezzare.

Mai.

mercoledì 15 dicembre 2010

Top Ten: le 10 nuove specie più cool della decade


Dei documentaristi in collaborazione con Conservation International si sono divertiti a scegliere le loro dieci specie preferite scoperte negli ultimi dieci anni. Cliccando qui potete leggere l'articolo in inglese e vedere le immagini, sotto riporterò brevemente l'elenco:

1) Tiburonia granrojo: soprannominata "Big Red", è una medusona abissale rossa di un metro di diametro, scoperta grazie all'uso di telecamere subacquee.

2) Phobaeticus chani: lungo più di mezzo metro, è l'insetto (stecco) più lungo del mondo.

3) Rhynococyon udzungwensis: questo toporagno elefante è stato scoperto da un italiano. Woot! Non siamo sempre inutili (solo la maggior parte delle volte)!

4) Hemiscyllium galei: lo "squalo bambù", gli scienziati hanno messo all'asta il diritto di dargli il nome e hanno usato i fondi nella difesa ambientale marina.

5) Phragmipedium kovachii: enorme orchidea rosa, scoperta per la prima volta in possesso di un commerciante illegale di fiori rari.

6) Rungwecebus kipunji: non solo una nuova specie, ma anche il primo nuovo genere di scimmia scoperto dal 1920.

7) Nepenthes palawanensis: grossa pianta carnivora nepente (a "imbuto")

8) Cyrtodactylus macrotuberculatus: vi sono due varietà di questo geco, una di foresta e una di caverna.

9) Bradypus pygmaeus: ...indovinate. Si è evoluto in soli 9000 anni di isolamento su un'isoletta, tempo brevissimo per la storia della vita sulla terra.

... ehi, si sono dimenticati di metterci il numero 10! Oh, beh. Come potete vedere, la lista è più che altro un divertimento, e le specie sono state scelte, visto l'obiettivo di farci un documentario, più che altro in base a quanto sono visibili: 5 vertebrati, 2 grossi invertebrati, 2 grosse piante. Anche se è vero che scoprire nuove specie di grossi organismi è più raro e difficile, sono sicuro che molte altre specie, ben più strane e interessanti, avrebbero potuto entrare nella lista. E visto che la posizione è apparentemente vacante, propongo di assegnare il posto numero dieci a un nuovissimo arrivato, Synthia, il primo organismo sintetico, nato quest'anno dal lavoro di Craig Venter. Sarà artificiale, ma è pur sempre una nuova specie, no? E mi pare che la seconda nascita della vita su questa terra non sia roba da poco.

giovedì 2 dicembre 2010

La verità fa bene, forse (ed è carismatica)


In realtà di solito direi "La verità fa bene, SEMPRE" ma voglio concedere il beneficio del dubbio alla tecnica di sensibilizzazione utilizzata dalla maggior parte delle associazioni benefiche sorte a difesa dell'ambiente. Mi spiego meglio. WWF, Greenpeace e quant'altro di solito pubblicizzano il loro lavoro con gran foto di leopardi, panda, elefanti e altri animali fotogenici e popolari, lanciando campagne di raccolta fondi nel nome di questi animali e spesso presentando come maggior incentivo alla salvaguardia della natura la loro bellezza. Questa tecnica è quella della cosiddetta "Megafauna carismatica", cioè dell'uso "promozionale" di animali noti, grandi e spettacolari per invogliare il pubblico a fare donazioni che poi serviranno a salvare interi ecosistemi, e non solo le specie in questione. Ora, se si tratta di scucire qualche spicciolo per una buona causa a qualche hippy di mezza età che allenta la stretta sul portafoglio solo se gli sventolano davanti la foto di una tigre, non c'è nulla di male. Ma questo metodo di far vedere e sentire alla gente solo quello che vuole vedere e sentire innanzi tutto mantiene la gente ignorante sui veri, ben più importanti motivi per donare (la salvezza di interi ecosistemi, i beni materiali che se ne ricavano, oltre alla loro tanto sventolata, anche se effettiva, bellezza) e sulle creature che difendono (newsflash: la maggior parte dei componenti di un ecosistema ha sei zampe e non figurerebbe molto bene sulle graziose cartoline di Natale che mi ha inviato il WWF, ma cionondimeno è fondamentale, interessante e altrettanto degno di vivere su questo mondo), e in secondo luogo aliena le simpatie di chi riceve il messaggio come un semplice "la natura è carina è pelosa, aiutiamola vi va?" e giustamente dice: "Chemmifrega?". Se si divulgassero VERE NOTIZIE SCIENTIFICHE sulla natura e l'importanza degli ecosistemi e di TUTTI i loro abitanti non solo come fonti di bellezza ma anche come fonti di sapere, medicine, cibo, soldi e soprattutto, come una casa da cui dipendiamo, a mio parere si aumenterebbe l'interesse di chiunque a fare una donazione. Se poi qualche rompiscatole è deluso perchè per ogni tigre che difende salva anche milioni di scarafaggi, che si fotta.

Un Ponte per le Stelle


Sull'onda delle mie recenti considerazioni sulla sesta grande estinzione che sta avvenendo per mano nostra, mi viene da riflettere sul ruolo della nostra specie nella lunga storia della vita. Ovviamente, nessun organismo nasce con un fine da compiere nell'universo, ma è inevitabile che la sua esistenza abbia un impatto, più o meno forte, sugli altri organismi. Vari gruppi biologici hanno segnato indelebilmente la storia della terra: i cianobatteri che modificarono l'atmosfera primigenia rendendola respirabile per la maggior parte dei moderni gruppi viventi, le prime piante che resero vivibili le terre emerse, gli artropodi che le conquistarono e divennero parte integrante di ogni ecosistema, i dinosauri, che furono il gruppo di vertebrati dominante per più tempo di qualsiasi altro. E poi ci siamo noi, non come gruppo, ma, forse per la prima volta, come singola specie, a originare un evento epocale, la sesta grande estinzione. Ma il nostro ruolo dev'essere solo negativo? Non necessariamente. Come ho spiegato nell'altro articolo, ritengo improbabile che qualsiasi grande evento geologico o antropogenico, per quanto devastante, possa cancellare del tutto la vita; l'unica cosa che può farlo è la distruzione totale di questo pianeta, cosa che avverrà fra 5 miliardi di anni quando il Sole finirà il carburante e ci avvolgerà in un abbraccio di fuoco. Di tempo ce n'è, ma perchè non cominciare subito a provvedere per il più alto degli obiettivi, la fuga da questo mondo condannato, fuga che renderà la vita capace di espandersi di mondo in mondo e di conquistare le stelle, diventando di fatto indistruttibile e riempiendo i vuoti abissi del cosmo? La scienza umana può sicuramente progredire al punto da rendere possibile la colonizzazione di altri pianeti, se non subirà una botta d'arresto a causa della crescente stupidità della popolazione o di un eventuale moria di massa che probabilmente avverrà nel caso continuiamo a marciare sulla strada dell'estinzione. 5 miliardi di anni sono tanti, i nostri discendenti o creature totalmente diverse potrebbero, fra milioni o miliardi di anni, essere ancora largamente in tempo per cominciare a pensare al problema, ma perchè non darsi da fare in anticipo, perchè non essere i primi a portare la biosfera nello spazio e a rendere la vita eterna? La finora solo ipotizzata tecnologia del terraforming consisterebbe nel rendere vivibile un pianeta invivibile, largamente attraverso l'uso di viventi che, messi in presenza delle risorse necessarie, andrebbero a costituire un ecosistema simile a quello terrestre rendendolo abitabile anche per l'uomo. La strada è sicuramente ancora lunghissima, ma sicuramente stimolante, non solo per l'alto ideale di espandere la vita fra le stelle, ma anche nel nostro stesso interesse, come popolazione in espansione che abbisogna di spazio e risorse.